La verde e affascinante provincia di Chieti.
Se si toglie la parte montuosa, della Maiella, essa si estende per la massima parte su terreno collinoso e l’agricoltura vi è redditizia per cereali, vigneti, uliveti e frutteti.
a cura della Redazione
In Abruzzo, la provincia di Chieti, per quanto privata di qualche sua gemma dopo la creazione della provincia di Pescara, resta pur sempre una delle contrade più pittoresche d’Italia.

Approssimativamente, essa si estende ad oriente del fiume Pescara fino a toccare col Trigno il contiguo Molise, e va dalla montagna al mare, avendo per sfondo a sud il massiccio della Maiella (Monte Amaro m. 2795) e per termine a nord l’Adriatico, attraverso un’ondulata distesa di colli folli di ulivi e di vigneti e popolati di borghi e di ville.
E se in alto, specie laddove balza il Sangro col suo corso aspro e tortuoso, il paesaggio è severo, presto, scendendo dai precipiti fianchi della Maiella, esso diventa blando e festoso.
La natura vi manifesta una sua bellezza riposante, dalla quale è esclusa ogni nota violenta di linee e di colori, e tutto è condotto col disegno leggero e i toni attenuati propri di un pastello.

Favorita dalla natura, la provincia di Chieti è stata altrettanto beniamina della storia, se è vero quel che diceva Renan, che i popoli felici sono quelli senza storia.
Essa infatti è rimasta nei secoli quasi un angolo dimenticato dagli avvenimenti. Posta fuori delle linee strategiche delle grandi marce militari delle invasioni, protetta da un lato dalla fortezza di Pescara, dall’altro dalle pendici montuose dell’Appennino, che verso Vasto continuano fino al mare e col nodo garganico sbarrano il passaggio litoraneo verso la Puglia, avendo infine alle spalle la Maiella, la storia le è passata accanto rasentandola, senza penetrarla, e ha dovuto aspettare le sciagure dell’anno di .grazia 1944 per conoscere da vicino, con la guerra, l’alto prezzo che si paga per vivere nella storia.
Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli del Vice-Reame e del Reame, tutti i padroni succedutisi nel dominio del Mezzogiorno, scelsero altrove i loro campi di battaglia decisivi e le loro sedi principali.
Poche furono le pagine nere. Una volta i Normanni per mano di Goffredo Conte arsero Ortona, non risparmiando nemmeno gli edifici sacri.
Altre volte le popolazioni della marina soffrirono le molestie dei pirati : quando all’orizzonte spuntavano i pennoni acuminati delle vele barbaresche, esse erano costrette ad abbandonare in fretta le case e a rifugiarsi all’interno, oppure ad impugnare le armi e ad occupare gli spalti, le logge e le torri per la difesa.
Non sempre erano i pirati ad arrivare, talvolta erano le popolazioni fuggiasche dall’altra riva. Così, ad esempio, sulla spiaggia dov’è, o meglio dov’era, Francavilla, oggi rasa al suolo dai Tedeschi, approdarono un giorno inattesi quelli di Dulcigno, che cercavano salvezza dai Turchi. Ancora oggi i francavillesi vengono chiamati i cignotti.
Questa quiete secolare non ha avuto motivo di essere interrotta nemmeno per le urgenze di carattere economico, perchè la provincia di Chieti ha avuto ed ha anche il privilegio di una relativa floridezza.
Se si toglie la parte montuosa, della Maiella, essa si estende per la massima parte su terreno collinoso e l’agricoltura vi è redditizia per cereali, vigneti, uliveti e frutteti.

Come tutte le zone a cultura varia è largamente autosufficiente. Ed aiuta poi un regime di proprietà frazionata, una distribuzione della terra equilibrata, dei contratti agrari improntati ad equità, onde i contadini non hanno da lamentarsi troppo della loro sorte.
La riprova è data dal fatto che la provincia di Chieti, di tutte le provincie dell’Abruzzo, era quella che dava comparativamente il minor contributo all’emigrazione transoceanica.
L’economia agricola è integrata solo dall’artigianato e da qualche piccola industria a produzione locale. Tra gli artigiani sono soprattutto da ricordare quelli di Guardiagrele, celebri da epoca immemorabile per la lavorazione del ferro battuto ; tra le industrie, quella delle paste alimentari vanta a Fara San Martino e a Villa Santa Maria, fabbriche rinomate che, per l’eccellenza e la raffinatezza del prodotto, gareggiano con quelle di Gragnano e di Torre Annunziata.
Ortona ha una discreta industria di piccolo armamento per la pesca e per il traffico con l’altra sponda ; Lanciano un’apprezzata industria tessile.

Per essere rimasta quasi appartata dal moto storico, la provincia è rimasta fedele alle sue tradizioni ed offre un’inesauribile fonte di curiosità per gli studiosi del folclore. Il turista può ritrovarvi l’Abruzzo descritto, dipinto e musicato da Gabriele d’Annunzio, da Francesco Paolo Michetti, da Francesco Paolo Tosti. Qua ancora sopravvivono favole, leggende, riti, canzoni, costumi, superstizioni della più remota origine ancestrale.
Ancora i riti pagani si intrecciano e si continuano nelle cerimonie cristiane.
Il culto di Maia sopravvive nel culto di Maria. Le antichissime celebrazioni del risveglio della natura e del ritorno della vegetazione sono continuate nei cosiddetti maggi.
Sono ancora recitate le famose rappresentazioni sacre, che, forse per reminiscenza di culti dionisiaci o bacchici, spesso ricevono versioni profane, salaci e maliziose, così come strane pratiche superstiziose propiziatorie sono tuttora in onore.
Pellegrinaggi numerosi, nelle ricorrenze dei Santi patroni di taluni villaggi, salgono verso i santuari più accreditati, percorrendo le strade maestre in lunghi cortei di devoti che, pigiati nei carretti, intonano senza riposo gli inni sacri.

Nei riguardi della storia dell’arte, la provincia occupa un posto relativamente modesto ove si confronti con altre che ebbero centri di vita culturale e artistica assolutamente preminenti; tuttavia, parte integrante del più vasto quadro regionale, ne riflette tutte le caratteristiche in modo adeguato, anche se, a seguito della costituzione della provincia di Pescara, alcuni monumenti che storicamente le appartenevano, non sono più da prendere in considerazione.

Dell’aspra ed oscura vita primordiale sussistono valide testimonianze in quelle massicce mura poligonali che son dette ciclopiche; soprattutto nel capoluogo è diffuso il suggello della civiltà romana.
Invasioni e distruzioni barbariche, terremoti e pestilenze provocarono decadenza e impoverimento durante tutto il medioevo, per cui rari sono gli esempi rimasti di costruzioni civili di una certa importanza, anche perchè la provincia non ebbe storicamente una vita comunale ricca di sviluppi nè vita feudale fastosa.
Con maggiore frequenza ci si imbatte invece in costruzioni di carattere militaresco, come turrite mura di cinta oppure castelli, parte tuttora in piedi e parte mutili o in rovina.
Ma dove l’architettura ha trovato adeguati sviluppi è negli edifici destinati al culto, testimonianza assai diffusa e spesso cospicua del vivo sentimento religioso delle popolazioni.

Il monumento più insigne del medioevo è S. Giovanni in Venere presso Fossacésia, ma assai numerosi sono gli edifici religiosi di vetusta e nobile origine dal mille al milletrecento, secolo questo il più largamente rappresentato per nuove costruzioni, restauri o ampliamenti.
Dalle chiese più notevoli fino alle più modeste chiese parrocchiali tutte le forme dell’architettura acclimatatesi nell’Abruzzo vi sono rappresentate.
Artisti locali lasciarono il loro nome su portali ornatissimi e nelle rose a traforo delle facciate, e ad essi si aggiunsero lapicidi lombardi o maestri teutonici, così come nelle opere di pittura si alternano maestri di ogni luogo, da Luca di Pallu-stro di Lanciano ad Andrea Delitio da Lecce nei Marsi.
Il movimento culturale della Rinascenza non trovò qui larga risonanza, come in tutto l’Abruzzo e nel Molise, regioni ritardatarie e legate a forme tradizionali ; e non solo nell’architettura, ma nemmeno nella pittura e nella scultura.
Tuttavia è da ricordare Nicola da Guardiagrele, discepolo del Ghiberti, famoso per le splendenti e ricche oreficerie, che sono il patrimonio forse piiì prezioso dell’arte abruzzese.
Le arti del Seicento e del Settecento, mentre non hanno contribuito gran che ad innalzare il livello artistico della provincia, spesso, purtroppo, sono state chiamate a rinnovare gli aspetti di edifici più vetusti mascherandone e anche deturpandone l’originale e certo assai più nobile fisionomia.
All’Ottocento si deve un largo incremento edilizio nei centri di maggiore importanza; ma francamente non si saprebbe segnalare nulla di particolarmente notevole in nessun campo.
L’atroce guerra ha lasciato immani rovine in molti centri della provincia ma non ha potuto cancellare i nomi dei suoi migliori artisti che sono, oltre al Michetti, Giuseppe e Filippo Palizzi, Costantino Barbella e Francesco Paolo Tosti.

Panfilo Gentile